Testimonianze
UN’'ANSIA DI ESPANSIONE DINAMICA
…Gli stimoli espressivi di Cassani sono delle sensazioni che liberano dalle cure dell'esistenza quotidiana, governata da chiusi egoismi, e destano quella meraviglia che l'artista deve saper prolungare nel tempo breve di un’'opera.
Il tempo di un opera è prima di tutto il tempo della sua lettura, il prendere coscienza – per un opera di Cassani – di quell'asssieme di piani liberi che avanzano verso di noi, di quegli spigoli netti che tagliano nell’aria una struttura, di quell'intersecarsi di forme che entrano le une nelle altre, creando uno spazio interno teso e vibratile, ove tutto pare obbedire ad un'ansia d'espansione dinamica.
Giorgio Kaisserlian
Dal catalogo per la mostra personale alla Galleria Pagani del Grattacielo
Milano, 1961
ESORCIZZARE IL MITO CRUDELE DELLA MACCHINA
Sulle macchine i futuristi accesero i loro fuochi d’entusiasmo. E’ il caso di ricordare che per Marinetti, già dal 1909, un’automobile era più bella della Samotracia del Louvre? Impennate polemiche, esaltazioni a choc e infine, dentro quelle parole, c’era anche una certa dose di quell’ingenua e ottimistica speranza ottocentesca che la macchina, fonte di progresso, avrebbe migliorato il genere umano. In un certo senso la macchina ha effettivamente provocato notevoli modificazioni. Non occorrono molte parole, basta guardarsi in giro e constatare come la fatica dell’uomo si sia ridotta per merito della macchina. Purtroppo la pena del vivere, che è altra cosa, è rimasta indenne e forse, per questo lato, la macchina, con i suoi congegni, i meccanicismi che produce e lo sfruttamento industriale che ne deriva, provoca altre prospettive di malessere, un filo d’angoscia che va a intrecciarsi ai tanti altri della nostra epoca, per cui ciascuno di noi ha come l'impressione di essere un'entità precaria, passibile di altre servitù poco meno che schiavistiche dinanzi al potere di questo nuovo e anonimo e crescente moloch: la civiltà dei consumi, che senza la macchina non sarebbe sorta, e da qui le conseguenti geremiadi degli oppositori.
Per conto mio sono persuaso che la macchina in sé non ne ha colpa alcuna, perché è solo uno strumento e tutto dipende dalla saggezza di chi se ne serve. Ma non si può negare l’evidenza, che la macchina ha modificato persino il paesaggio che ci sta intorno, un paesaggio tecnologico con i suoi segnali, le cattedrali di ciminiere, le antenne con la fiamma accesa verso il cielo come novello fuoco da vestale per un dio prepotente. E se l’uomo avverte già l’inquietudine e quasi l’ossessione, vuol dire che le presenze della nuova “situazione macchinistica” già lo serrano da presso, affollano le sue prospettive e gli incutono vaghi timori. D’altro canto l’arte pop, con i suoi oggetti di consumo provocatori, cos’è se non la prova di una ribellione a questa soggezione?
Ma ripeto, le soluzioni non si debbono cercare al di fuori dell’uomo, che deve invece essere condotto a saper usare anche questo strumento, e non a tentarne l’abolizione (e chi torna indietro?), anche se minaccia di diventargli nemico. C’è quindi il modo di esorcizzare il diavolo, se diavolo è. Lo scultore Cassani si è messo da questa parte, proprio accettandone in partenza le suggestioni: i volani, le pulegge, gli ingranaggi, le trasmissioni. Una macchina che è già quasi un automa. E con i suoi motivi di bellezza: colonne, pistoni, massicci volumi e viti minuziose, trafori, piani a ventaglio, proiezioni improvvise di tubi da sembrare un’arma d’offesa e altre volte, per via dei congegni complicati, preziose oreficerie. Smontare, insomma, il mito crudele della macchina e vederne l’elaborazione a tal punto di novità formale da trovare anche una giustificazione estetica. E nello stesso tempo che l’artista si esalta per questa morfologia, così come si esalterebbe di un’ala di falco, di un fianco morbido di donna o di una gamba tornita, lasciar adito a una vena d’ironia che investa il moloch e lo ridimensioni, aggiungendo, se del caso, elementi d’invenzione. Il tutto per evitare una sottomissione o un fregio di neo-estetismo; non certo una caricatura, ma un modo di prendere il diavolo per le corna tramite la fantasia. E le ragioni della scultura ancora una volta sono salve.
Marco Valsecchi
Dal catalogo per la mostra personale alla Galleria Grattacielo
Milano, 1968
UN MONDO REMOTO PERDUTO NEL TEMPO
...Si può dire
che si tratta di una sigla,
di una forma simbolica,
perfezionata nel tempo
dalla sensibilità plastica di Cassani,
che ha saputo adattare
alla pietra l’immagine
di un mondo remoto, perduto nel tempo.
Anche nel caso di Cassani,
le forme primitive adottate
rivelano la decisa volontà dell’artista
di interpretarle come “presenze vive”,
come messaggi di contenuto spirituale,
che anche un presente ostile
può accogliere
per la sua profonda vitalità.
Giuseppe Marchiori
Dizionari Bolaffi degli scultori italiani moderni
Torino 1972
LA PRESENZA DELL’UOMO
...Le “strutture rotanti” si aprono
come fiori di pietra,
scandagliati in ogni loro interna
possibilità plastica, mentre sculture come
“pietra bianca” sembrano
recepire l’indagine paziente
della mano dell’autore,
altre come “ritmi lunghi”
iscrivere una storia,
dove al moltiplicarsi degli eventi
fa da eco l’incisione più profonda,
rotte come sono esse
da scanalature, che sembrano pause,
attese che un flusso torni
a rimettersi in moto irresistibilmente.
È questa una scultura statica,
che sembra appartenere
ad un periodo neolitico
quando la materia caratterizzava,
per brevi scalfitture,
la presenza dell’uomo.
Ma una sottile dinamica
pervade questa scultura e trae origine
dal saper dosare gli interni moti,
dal saper condurre i sommovimenti
di una vena intima
di un’interna crepa,
senza violarne l’evoluzione,
il messaggio unitario.
Aldo Passoni
Dal catalogo per la mostra personale alla Galleria Viotti
Torino 1972
PIETRA VIVA
La pietra fa la storia, e non soltanto in senso geologico. E’ l’evoluzione stessa della natura che parla attraverso la pietra.
Evoluzione cosmica, dai primigeni agglomerati pulviscolari ai successivi stadi di consolidamento e di sviluppo, cui perviene dal’informe inconoscibile della “causa senza causa” alla formazione della “materia vivente”, organica e inorganica.
E’ una manifestazione bipolare, o dualistica, di forze compenentrantesi secondo natura in costante attività energetica, dall’infinito al finito che, a sua volta, riprende il ciclo inverso evolvendosi all’infinito nell’ordine, appunto infinitesimale, delle analogie. Pertanto, parlare di “età della pietra” è un non senso, in quanto tale età è compresente in ogni tappa dell’evoluzione naturale: quindi, essendo l’uomo parte integrante della natura, non si capisce perchè la cosiddetta “età della pietra” debba costituire il parametro valutativo per misurare I primi passi dell’uomo sul terreno della storia.
Ecco perchè la pietra fa la storia, più dell’uomo.
Allora, più opportunamente, dovremmo parlare di “civiltà della pietra”. E qui l’uomo recita la sua parte “storica” esprimendo compiutamente se stesso. Infatti tutta la storia dell’uomo, dalla sua comparsa a oggi, è stata scritta sulla pietra. Graffiti, monoliti, monumenti di enormi dimensioni e tavolette appena scalfite sono i “test” più rappresentativi del vivere umano: immagini testimoniali dell’essere, elevate dall’esistenziale al divino, quasi a significare il rispecchiamento spirituale dell’uomo nell’ignoto.
Immagini di un “vissuto” senza età, proiettate fuori del tempo. Reperti di remote stagioni comunicanti messaggi e conoscenze, segnali impersonali del nostro essere primordiale, presenze che avvertiamo oscuramente confitte nella nostra altrettanto impersonale identità.
Così dalla pietra nasce, tramite l’uomo, la scultura: cioè un’arte dovuta alla immaginazione creatrice. Un’espressione universale dell’uomo di tutti i tempi.
E per Nino Cassani, uomo del nostro tempo, la pietra è viva, non solo quale titolo ricorrente in alcune sue opere ma in quanto soluzione “organica” di continuità nel blocco di pietra, direttamente desunte dalla natura. Ed è appunto questo lascito naturale a costituire la “materia prima“ di Cassani, il suo mezzo di autoriconoscimento che gli consente di toccare con mano la forma in crescita immaginativa, cioè di “sentire“ prima ancora di “vedere“ l’immagine che viene strutturandosi tramite il suo stesso lavoro. Perciò Cassani è un uomo della “civiltà della pietra”: appunto perchè “vive” la pietra, emozionalmente.
E’ ciò che egli ha imparato prestissimo, si potrebbe dire fin dall’infanzia, ammirando le sculture e i bassorilievi degli anonimi maestri comacini; poi frequentando l’Accademia di Brera sotto la guida di Marino Marini, rimanendovi per insegnare dal 1955.
Vivere la pietra è come sentire le pulsazioni “organiche” del primordio attraverso il respiro della natura. E il respiro è ritmico come l’azione manuale che sbozza dal blocco di pietra immagini del sentire universale.
L’azione è fisica, d’accordo, ma la partecipazione è interiore, meglio spirituale.
Che si riscontra, appunto, nelle “strutture organiche” di Cassani.
Infatti, dopo una breve parentesi figurativa itinerante fra il romanico e il gotico, lo scultore lombardo affronta nelle sue prime trasformazioni (1958-59) il “mondo della forma” in divenire, quale primaria enunciazione dell’essere nella dimensione “altra” del vivere. Trasformazione, dunque, in quanto evoluzione spazio-temporale della materia vivente: l’uomo e il suo “doppio” configurantisi nel blocco di pietra.
Se consideriamo, in senso astrattamente creazionistico, le proprietà organiche e inorganiche della materia siamo costretti ad ammettere quel processo di trasformazione che è all’origine della nostra stessa evolutività, passando dallo stato biologico a quello geologico o minerale. Di conseguenza anche nelle forme della natura esiste questa complementarietà strutturale: principio e fine puntualmente riflessi nelle immagini intagliate trasfiguranti la grezza materia in simulacri della realtà. La realtà “altra” virtualmente posseduta dalla conoscenza sensibile dell’uomo di tutti i tempi. Ecco, in sintesi, queste sono le trasformazioni sculturali di Cassani, e in ciò consiste il principio delle sue ricerche ulteriori, dai ritmi verticali ai ritmi lunghi degli anni 1958-63, dalle strutture circolari alle strutture rotanti degli anni 1964-69.
Le ragioni primarie di questo svolgimento articolato risiedono nella concezione morfologica dell’artista, per il quale la forma è già in sè un’immagine conseguita: perciò imparando a conoscere e a sensibilizzare le strutture organiche delle forme preesistenti, egli tende a impossessarsi del “pensiero” della forma per evolverne l’essenza plastico-volumetrica mediante vari passaggi formali, dalle strutture squadrate a quelle circolari e rotanti. Così dal 1968 al 1975, viene precisandosi la modalità dinamica di questo pensiero della forma sostituendo all’iniziale moto centripeto, cioè coordinato verso l’interno, il liberatorio moto centrifugo.
Questa soluzione, evocante il movimentismo cosmico, contiene parecchi elementi desunti dall’emblematismo primordiale dell’uomo che vuole sublimarsi, immaginativamente, attraverso la visualizzazione plastica del divino.
Referenti magico-rotuali che riecheggiano al presente da remote civiltà, impossibili da razionalizzare ma saldamente confitti nelle profondità spirituali del nostro essere. E così anche la pietra è viva, come sostiene Cassani emblematicamente, proprio perchè la mano dell’uomo ha saputo plasmarvi l’impersonale identità del suo essere, dal grande mistero della creazione alla stupefacente verifica dei fenomeni naturali. Perciò tutto è “materia vivente”.
Insieme ai rotanti, Cassani ha progettato e portato a compimento nel biennio 1968-69 il ciclo sculturale delle macchine. Questo episodico contatto con la “civiltà della macchina”, peraltro non assunto in termini futuristicamente ottimistici, gli ha consentito di fissare lo sguardo sugli aspetti più correnti del nostro tempo. E’ stata un’escursione ispirata al funzionamento “interno” della macchina; di riporto “estetico”, se vogliamo, non di riscontro mitografico.
Evidentemente Nino Cassni, uomo della “civiltà della pietra”, ha voluto esorcizzare i miti consumistici, pietrificandoli; per dimostrare a se stesso e agli altri che la pietra è più forte delle macchine. Così, rientrando nella dimensione primordiale delle sue strutture organiche, negli ultimi anni lo scultore lombardo ha continuato a colloquiare con la realtà “altra” della pietra: materia prima partecipante alla spiritualità del sentire e rivelazione ultima della nostra stessa immagine interiore.
Miklos N. Varga
Testro critico per la monografia presentata in occasione della personale alla Galleria "Pietra" di Milano
1974
IL MOVIMENTO EVOLUTIVO E LA SUA POTENZIALITA' CREATIVA
Per affrontare un'interpretazione - sempre approssimativa e frammentaria - dell'opera scultorea di Nino Cassani, ritengo possibile partire da una affermazione di principio. Tale affermazione di base è molto semplice: tutto è quello che è ed il suo contrario, tutto racchiude in sè una contraddizione essenziale ed una contrapposizione interna da cui hanno origine il movimento evolutivo e la sua potenzialità creativa.Quindi, ammesso ciò, l'interpretazione di qualsiasi opera umana e degli oggetti da essa creati è resa possibile dall'intimo confronto tra fattori opposti, da cui emerge un'unità che. in ogni caso, dà origine a nuove contraddizioni e sintesi, seguendo inesauribili processi.
Indubbiamente questo sistema non è l'unico valido per chiarificare alcuni prodotti della cultura visiva in cui si incrociano numerosi fattori, derivanti questi dall'ambiente naturale, dall'ambito sociale o dalla evoluzione storica nel contesto della personalità di ogni essere umano. Permette, tuttavia, una approssimazione forse valida, nonostante la sua parzialità.
Quindi, quale può essere la prima e più immediata antitesi che ci si manifesta osservando le opere di Nino Cassani? Trattandosi di uno scultore, vale a dire di un cultore di un'arte come quella scultorea in cui il materiale e il mezzo tecnico sono condizionanti, sarà indispensabile - come hanno sottolineato quanti hanno scritto di lui - parlare del modo di usare la pietra, condizione principale da cui devono nascere le prime verifiche. La pietra, è ovvio dirlo, stabilisce di per sè una relazione - appena mediata - con il mondo naturale, con l'evocazione di un antichissimo impulso formativo. Tuttavia, tutto ciò è così risaputo che arriva a mancare di valore informativo e comunicante. Quindi l'informazione e la comunicabilità, derivate da una volontà estetica che è anche prematuro considerare, nasceranno dall'osservazione del livello operativo e dalla sua relazione con la tematica adottata.
Dal punto di vista operativo, l'utilizzazione della pietra porta con sè, a parer nostro, automaticamente, tutte le implicazioni storiche e culturali del mondo artigianale. Di connseguenza il materiale evoca i condizionamenti, le possibilità e le limitazioni della scultura tradizionale, sebbene nel processo che va dall'ideazione alla realizzazione intervengano mezzi meccanici propri della tecnica contemporanea.
Il problema, dunque, resta trasferito nel campo della tematica, intendendo per tale la materializzazione risultante dall'unire, nel fatto conoscitivo dell'artista, la percezione e la realizzazione. Così si stabilisce la contrapposizione dialettica tra l'operatività - legata alla natura - e il "tema", che interpreta nozioni proprie del mondo tecnologico, il mondo che l'artista condivide con tutti noi, con la sua contemporaneità.
Tra le varianti e le "serie" che devono per forza esistere in una produzione così vasta e perseverante come quella di Nino Cassani, si ripete e mantiene la tematica derivata dal mondo delle macchine. Ma l'atteggiamento dello scultore davanti alla macchina non è nè condanna apocalittica - il che porrebbe allo scoperto uno spirito retrogrado - nè l'esaltazione indiscriminata delle sue possibilità - rivelatrice di una adesione alla cultura borghese e ai suoi triti miti ottimistici -: è un "motivo" che deve essere trasformato in oggetto visuale destinato ad arricchire lo spazio, materializzando una nozione di valore. Quindi la macchina non appare come una descrizione letterale o come la risultante di un processo operativo, bensì come la rappresentazione simbolica di un concetto, sintetizzando l'idea di una civilizzazione con i materiali e i mezzi di un'altra, stabilendo così l'antitesi tra evoluzione naturale e svolgimento storico, che conferisce a queste sculture il suo inquietante contenuto e la sua polivalente eloquenza. Da ciò potrebbe apparire giustificata una relazione ereditaria apparentabile con il Futurismo, ma qui non vi è nè falsa audacia, nè retorica dell'0eroismo, nè denuncia letteraria delle tradizioni artistiche. Lo spirito che Cassani infonde alle sue sculture è quello di un uomo del suo tempo che si sente identificato con un "lavoro".
Così appare chiaro che le sculture di Cassani si incamminano irresistibilmente verso la rappresentazione del "movimento virtuale" mediante forme dinamiche, la cui mobilità proviene da allusioni rotative, da elementi elicoidali, da disposizioni ritmiche. Naturalmente queste allusioni cinetiche si ottengono per mezzo di forme, rilievi e incisioni il cui inserimento rompe la staticità delle configurazioni rigidamente simmetriche, in quanto la dinamicità non nasce dal mobile gioco compositivo, bensì da qualcosa di più profondo ed intimo: la contraddizione essenziale a cui accennammo prima.
Le opere di Cassani sono, in fondo, modelli e progetti al servizio di una concezione dialettica secondo cui ogni creazione umana - e perfino la stessa vita - esiste attivamente in virtù della simultaneità della propria affermazione e negazione. In tal modo il problema insito nella scultura tradizionale tra il senso plastico (studio del pieno e del vuoto, della luce e dell'ombra) ed il suo inserimento nello spazio, resta relegato in secondo piano, non perchè manchi di importanza in un lavoro tanto chiaramente sostenuto dalla capacità professionale, bensì perchè riesce ad esprimere - tramutandolo in "forma" - un concetto, che consiste nel rapporto tra la base naturale e lo sviluppo tecnologico, tra le evoluzioni della natura e gli accelerati mutamenti della tecnica. In ciò è implicita la presenza di un processo critico in cui la riproduzione - o la "mimesi" - è stata sostituita dall'attività di una chiara ed effettiva idea centrale.
Dando una risposta "artistica" ad alcune realtà fondamentali, Cassani materializza la sua volontà estetica. Volontà attiva, dinamica e, in definitiva, espressione di vita, di una esistenza che è quella di tutti noi, nella condizione storica che ci è toccato vivere.
Vicente Aguilera Cerni
Testo critico per la personale alla "New Gallery" di Catania
1975
IL CICLO DEL SOLE
…Più che macchine
sono geologie
ancora articolate su radiazioni
di rotanti e ruote;
ma tirano esplicitamente
a ritrovare il grumo e il massiccio della pietra.
Non si può dire
Che la macchina
Sia del tutto scavalcata,
la ruota rimane un dato irruente
e non modificato.
Ma ora
Non tende più a imitare pulegge,
stantuffi, ora è più sciolta;
l’energia della pietra
si divincola,
contrappone al figurare l’esprimere,
inseguendo il filo interno
dell’immagine
e assimilando in sé l’immagine
dell’astro rotante,
il ciclo del sole.
Marco Valsecchi
Dal catalogo per la mostra personale alla Galleria d’Arte di Ada Zunino
Milano, 1978
LA PIETRA, LA LUCE
C’erano pietre immerse nel sonno...
Racchiudenti un modimento, un gesto Rimasto spontaneo quasi si trovasse in loro solo in custodia e dovesse un giorno venir consegnato al primo bimbo che passasse.
Rainer Maria Rilke, “Rodin”
Scrivere per la prima volta di un artista è un momento che, in qualche misura, appartiene a una condizione simbolica: più che una lenta ricognizione lungo gli anni, emergono con maggior immediatezza segni, rimandi, il dato di un’emozione, o di un’intermittenza. A Viggiù, il paese dove è nato, ho incontrato Nino Cassani, nel grande studio-stanzone, isolato in aperta campagna. Tutto è così feriale e così inedito. Sembra di ritrovare improvvisamente un’immagine dolcemente austera: un sentore di “frontiera” in lontananza, la piccola stazione ferroviaria, la grande “pagina immobile” del verde.
Qui le sculture entrano in un ritmo esatto.
Apparentemente i temi sono le trasformazioni, i rotanti, le strutture, le presenze verticali. Di fatto è sempre la materia vivente della pietra, la semplice innocenza in un punto qualunque del mondo, che discendono al cuore di un’idea, di un archetipo, o risalgono alla cifra di una forma. Con una suggestiva indicazione della critica francese, possiamo pensare per l’atto originario di queste sculture in pietra alla nozione di vero luogo. Non è un grembo di natura illusivo, allusivo, mimetico; ma non è nemmeno lo spazio intemporale di un concetto, una rappresentazione concettuale del mondo entro cui si possa esistere dimenticando la finitezza, la dimensione della temporalità che è quell’avvicendarsi del giorno e della notte, della volontà e dell’abbandono: del grande verde in estate che entra dai finestroni dello studio, e del puro bianco in inverno.
Non esiste l’uomo in astratto, soggetto e oggetto di una filosofia, ma l’incontro concreto del finito e del senza tempo, della luce e dell’ombra.
Certo Nino Cassani è uno scultore colto, avvertito, attento alla meditazione, all’interferenza dell’arte con le forme, i simboli, le strumentazioni linguistiche delle mutazioni, della contemporaneità espressiva. Ma il dato più significativo e direttamente percepibile della sua poetica rimane certamente la scelta quasi esclusiva della pietra. C’è la caduta dallo stato di grazia di ogni nozione della scultura nel senso dei simulacri dell’eterno, del bronzo, ma anche delle immobili proprietà dei linguaggi, delle sigle critiche.
La pietra è la cifra più misteriosa del tempo, custodisce il silenzio vissuto, restituisce gli sguardi di vite segrete e sconosciute. La pietra è il “tempo povero” della vasta e incolore mestizia di tutto ciò che non ha storia: radicale nudità con una segreta possibilità di grazia.
Questa vocazione totale alla pietra può essere intesa anche come una sorta di paradigma psicanalitico, se è vero che ogni esperienza di poesia non sta tanto nell’idea, nella metafora, quanto invece nella riconoscibilità di una voce, nel modo di sorgere e di ricadere, in un margine di condizione segreta e irriflessa. C’è un assorbimento del pensiero nella materia che diventa essa sola il vero contenuto dell’opera: l’incanto si rompe quando l’artista si divide dal suo lavoro, si sorprende in un disegno astratto delle proprie figurazioni, si pone in ascolto di una musica illusoria.
Queste sculture in pietra avvertono il frantumato sentire dell’oggi, avvertono il grande cambiamento fisiologico, scientifico che contraddistingue il moderno. Reggono tuttavia al vento del dubbio, della contraddizione, con sgomenta semplicità, con una bellezza rigorosa. Proprio nel rapporto con la pietra viva, nell’abolizione di qualsiasi a priori, non viene meno il legame sia pure remoto con la radice mitica di ogni espressione poetica che è il viaggio attorno a una lontananza, “il segno e il sogno della madre”. Ecco perché negli artisti più assoluti, il ritratto biografico finisce per specchiarsi nella loro stessa opera: l’ascetico ritratto per esempio di Morandi nell’esistenza senza attributi di una natura morta; il ritratto scavato di Alberto Giacometti nelle figure delle sue sculture. La crisi del linguaggio scoppiata all’inizio di questo secolo è stata una crisi poetica, quando le parole finirono di appartenere allo scrittore, o di riflettersi negli specchi della sua vita.
In una rinnovata primordialità, non priva di un’intima non formale aristocrazia, il gesto artistico viene ancora a collocarsi tra l’informe della materia e i ritmi della forma: tra il grande silenziio della pietra e il volto impossibile della scultura. Una scelta sintomatica di opere costituisce la mostra in uno spazio pubblico della piccola cittadina di Inveruno. Un titolo poi sembra riassumere idealmente la presente esposizione: Presenza verticale.
Scultura come “presenza”, fatta di forme necessitanti, tesa a un’espressione senza compiacenze, senza affascinanti languori, o volumetrici pretesi: non seduce; ha in sé lo slancio severo che impedisce di consumarsi nel mutevole. La pittura sogna il mondo, trasfigura le cose; la scultura ne custodisce l’infanzia oscura.
Nino Cassani, nella sua concezione della pietra come oggetto di scultura, rimane un artista di luce: luce fisica che rivela la temporalità delle sue opere; ma anche luce mentale nel concepire le sculture come frammenti, o nostalgia, di un canto ciclico, più alto e più vasto.
È ancora la luce a dare una coscienza transeunte alla scultura, fino a tendere quasi un accordo fra tempo esistenziale e tempo dell’opera. Ed è ancora la luce a dare alla scultura l’istanza di silenziosa
omelia del tempo: del qui e ora; degli enigmi, delle assolute semplicità, nello sguardo senza fine.
Stefano Crespi
Dal catalogo per la mostra a Villa Tanzi
Sala delle Volte - Comune di Inveruno (Milano), 1995
LA PIETRA, LUOGO ANTICO DELLA COMUNICAZIONE
Blocchi di pietra di Vicenza, un’arenaria dall’uniforme colore delicato e caldo, sono il dato di supporto costante per l’opera scultorea di Nino Cassani: si tratta di un materiale inizialmente tenero, quando è di recente estrazione, e che solo con il tempo tende ad assumere una maggiore e stabile compattezza; una pietra quindi “ospitale”, atta a ricevere un segno-disegno in movimento all’interno e lungo il contorno della sua superficie.
La pietra, luogo antico della comunicazione, dai brevi spazi della scrittura alle grandi pareti dell’architettura, si pone al centro di una redazione che, sin dagli esordi espressivi, vede l’abbandono del volume e dei suoi segreti inscindibilmente legati alla, storia del materiale e della stessa scultura antica, per predisporsi, all’interno di un progetto scultoreo moderno, per articolata organizzazione di piani e di elementi astratto-modulari, ora in estensione verticale, ora in sviluppo orizzontale, ora in movimento circolare.
Si tratta di una materia ospitale per una grammatica organizzata per masse e volumi dettagliati e dialoganti rispetto all’unità del sistema su cui si distribuisce una fitta rete di piccole incisioni.
Ogni scultura appare quindi una autonoma pagina, ma di un racconto caratterizzato da valori che possono apparire segreti e mimetizzati; ma se si osservano con attenzione il singolo pezzo e l’intera produzione di Cassani, si avverte che l’impegno espressivo è dedicato ad un concetto della realtà e dell’esistenza di ogni sua componente in una condizione di trattenuta mobilità, cioè di qualcosa che afferma la propria presenza, i propri caratteri costitutivi ma non rinnova
il suo stato, che non travalica il proprio spazio e non muove oltre le proprie caratteristiche. Costante è la presenza dell’elemento rotante tanto simile ad un sole, quale allegoria di uno stato di energia irradiante; persistente è anche l’attenzione rivolta ad un elemento segnico-segnaletico, quasi un modulo simbolico per un soggetto, forse l’uomo, enigmatico nel clima di astrattizzazione che lo definisce.
Cassani appare interprete, attraverso un’organizzazione semantica espressivamente rigorosa, di una liricità trattenuta e solare, sottolineata dal colore caldo della pietra, avvolgente e comprensiva degli infiniti e sfaccettati aspetti del nostro esistere sul pianeta.
Un lungo percorso di lavoro caratterizzato da un impercettibile autorinnovamento, quasi un procedere nell’immobilità, quale componente significativa di un progetto culturale avvolgente, perseguito da Cassani con estrema sensibilità opera dopo opera; l’artista insiste su ogni nuovo blocco di pietra muovendo con attenzione una trama organizzata per superfici e per segni, al fine di qualificare un progetto culturale ed artistico in cui si afferma l’attribuzione di valore significativo dell’esistere ed al cui interno i dati che fanno la realtà restano immobili e si ripetono come le stagioni e le ore del giorno, mentre l’uomo si dibatte irragionevole all’interno di una conflittualità troppo spesso scarna di significative motivazioni.
La persistenza severa del racconto di Cassani scopre in se stessa, nel suo prediletto dato di supporto, la ragione superiore del processo culturale, e artistico in specifico modo, confermandosi all’interno del “ciclo del sole... di geologie...” secondo l’intuizione critica di Valsecchi.
Andrea B. Del Guercio
da: Scultura contemporanea a Brera “Due secoli di scultura: la città di Brera, Milano.
Accademia di Belle Arti - 1995
VIBRAZIONI
...Sia che sviluppino il ritmo ascensionale di
una struttura verticale sia che
esprimano la cadenza rotante di una
composizione concentrica le pietre di
Cassani mostrano slanci e aperture che
le mettono in relazione con la geologia
e l’atmosfera circostante. Qui si rende
palpabile e vivo anche il corpo della
luce che si materializza nei segni e nelle
scalfiture della superficie, carica di quelle
vibrazioni di cui la scultura ha assoluto
bisogno per emozionare lo sguardo e
non costringerlo ad una pura lettura
strutturale.
Claudio Cerritelli
Dal catalogo “Fra peso e leggerezza, figure della scultura astratta in Italia”
Cantù (Como), 1996
UN LONTANO PASSATO
La sua costante e rigorosa
sperimentazione è riuscita
a travalicare i tempi, congiungendo
nella risoluzione del modellato
tradizioni plastiche e rievocazioni di un lontano passato:
tempo interiorizzato della storia dell‘uomo.
Nell’approccio formale con il soggetto
l’azione scultorea acquista un’identità simbolica,
le tracce solcano la pietra,
producendo una funzione percettiva
ai margini del mito.
Il riuscire con decisa abilità tecnica
a riversare nella dura materia l’idea è frutto
della esperienza maturata negli anni,
attraverso la quale l’artista è riuscito
a svolgere una indagine cognitiva,
fino a carpire la sostanza immanente,
effigiando forme in una distensione
di continuità dialettica. Il risultato della sua
individualizzazione artistica propone strutture che,
giocando in equilibrate intersezioni,
si sviluppano seguendo scansioni verticali,
orizzontali e circolari. Nell’intuizione astratta
dell’opera la pietra non perde la propria naturalità,
il lavorio geologico e metereologico,
che il tempo ha imposto alla materia,
si mescola a quello operato dall’artista...
Clizia Orlando
Presentazione catalogo “Nino Cassani.
Sculture 1958-1998”, Tigliole d’Asti (Asti), 1998
LA PIETRA
…La scultura dell’artista ha visto l’impiego del legno
e del bronzo, ma è tuttavia innegabile che sostanza
plastica preferita sia la pietra, che Cassani
usa in maniera quasi esclusiva, lavorandola
in un modo abilissimo che presuppone un lungo
esercizio e una continua ricerca sulle possibilità
comunicative di questo materiale.
E’ importante segnalare questa scelta formale,
perchè essa appare determinante nello sviluppo
creativo dell’artista, che nel tempo è riuscito a costruire una
perfetta simbiosi tra mezzo espressivo e volontà poetica.
La pietra serve per realizzare una scultura
che riflette principalmente su due temi ricorrenti:
sono infatti frequenti, nell’opera dell’autore,
strutture ad andamento verticale,
spesso costituite da elementi diversi
definiti secondo il medesimo sviluppo compositivo,
e forme assimilabili al cerchio,
declinate in molteplici varianti, divise in spicchi,
sovrapposte tra loro, spezzate da cunei
vuoti riempiti d’ombra o, ancora,
forate da buchi profondi.
Il risultato finale deve comunque mantenere sempre
ben leggibile la naturalità della pietra, come mostra
la superficie plastica, dall’apparenza movimentata da solchi, tratti,
rugosità che, sebbene ottenuti con un sapiente impiego
degli strumenti scultorei, conferiscono un sentore
di memoria geologica e di spontaneita inorganica
all’invenzione creativa…
Francesca Pensa
Dal catalogo per la mostra personale allo Spazio Laboratorio Hajech
Liceo Artistico 1° Milano, 2003
EMOZIONI DI PIETRA
Le trenta opere su carta di Nino Cassani qui presentate ci permettono di ripercorrere l’iter artistico di questo grande scultore italiano.
Allievo di Marino Marini e di quel realismo esistenziale che tanta storia ha determinato a Milano e nell’Italia intera, Cassani inizia la sua carriera artistica nel 1955, ponendosi all’attenzione della critica ufficiale per le sue forme innovative e per quel suo scegliere la pietra come materiale di lavoro.
Credo sia importante per l’oservatore curioso e attento, avere a disposizione le chiavi di lettura dell’opera di un’artista e nel caso specifico di uno scultore, gli strumenti che ti possono aiutare a capire e a comprendere la poetica di un maestro.
Le opere che qui pubblichiamo sono riprodotte cronologicamente, la prima risale al 1958: trattasi di uno “studio”. Più che in tutte quelle proposte, mi pare che proprio in questa sia palesemente identificabile la scelta iconografica e il percorso artistico che in seguito Cassani ha seguito: partendo da un soggetto figurativo ovvero un paesaggio, per arrivare all’esecuzione di opere astratte che nella metamorfosi fantastica che le contraddistingue risalgono a forme assimilabili ai vocaboli della geometria in grado di comunicare I propri significati.
“Studio”, che anticipa le trasformazioni contenutistiche che Cassani raggiungerà alla fine degli anni Cinquanta, evidenzia una sua indiscutibile ricerca di sintesi, determinata da alcuni rari e potenti segni ricchi di personalità: si tratta di un paesaggio dove alcune case e un paio di alberi vengono privati delle loro caratteristiche peculiari per assumere le caratteristiche di una massa informe alla evidente ricerca di un efficace contrasto chiaroscurale.
Altri aspetti naturalistici, affrontati poi in scultura, li possiamo ritrovare in “Studio per presenza verticale”, qui alcuni alberi vengono analizzati secondo un progetto culturale moderno, per superfici, per piani verticali lineari, nelle loro complessive silouette e, con sintetici segni di penna e pennarello, reinterpretati apportando alcuni tagli semplificativi e creando un gioco di luci ed ombre. Il discorso dei “rotanti” nasce dall’idea del movimento di forme cosmiche e dal riferimento a forze contrastanti presenti in natura, dall’osservazione di ingranaggi e di relativi particolari che creano e determinano implosioni o esplosioni di forme, giochi di profondità di piani e contrasti chiaroscurali.
Cassani è scultore di fama, ma ama disegnare, i suoi disegni sono fini a se stessi, ovvero, sicuramente nella realizzazione di una scultura c’è la necessità di un oggettivo progetto, di una idea certa, ma per lo più l’opera su carta offre l’opportunità della ricerca, della riflessione, della padronanza del gesto che poi ...scolpirà.
Il risultato finale vuole sempre mantenere identificabile la scelta della pietra, delle superfici percorse da solchi, tratti, rugosità che, saranno ottenuti con un sapiente impiego degli strumenti scultorei. Il tutto giocato solo su alcuni piani: si può, infatti, affermare che molte sculture di Cassani appartengono al mondo della bidimensionalità e, quindi, le opere su carta, risultano particolarmente risolte, proprio perchè non risentono della mancanza della terza dimensione. In esse prevale il segno, che scalfisce e intaglia la pietra, che è anche il segno che disegna e delimita, che inventa l’opera.
Maria Gabriella Savoia
Da trenta opere su carta di Nino Cassani 2004
Galleria Arianna Sartori - Mantova
Torna alla pagina precedente |
Torna all'inizio della pagina |